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Being a Rockstar

Being a Rockstar

Sam & Dan Houser: i gangster del divertimento digitale.

Quando si parla di videogiochi in generale, rivolti ad un pubblico poco informato e/o interessato, ci sono tre casi esemplari in grado di attivare subito l’immaginario collettivo: Pac-Man, perché ci hanno giocato tutti e rappresenta l’idea stessa di videogioco; Super Mario, perché è impossibile non essersi mai imbattuti in una qualche produzione che abbia a che vedere con l’idraulico italiano, visto che da 30 anni i suoi baffi fanno bella mostra sugli scaffali di videogiochi; e, ovviamente, Grand Theft Auto, perché tutti, più nel male che nel bene, ne hanno sentito parlare. Perché, per chi non ne sa e, oltretutto, è pure un po’ bigotto, GTA è il demonio in forma digitale, l’incarnazione di quel tumore della società, corruttore della fibra morale della gioventù, che tempo prima aveva l’aspetto di una chitarra elettrica.
In realtà Grand Theft Auto è ben più di una serie di videogiochi: tanto nel suo insieme, quanto nelle singole esecuzioni, è un’opera d’arte contemporanea: non solo per la tecnologia che dispiega, quanto per la riflessione che porta a fare sulla nostra società, sui valori e sui modelli che propone e giudica vincenti (la società, mica il gioco). È un format ironico, sarcastico, provocatorio ed eseguito con grande perizia, come la musica rock degli anni ’70, come il cinema di Tarantino. Si può odiare o si può amare, ma di sicuro non lascia indifferenti. Fa paura non tanto per la crudezza delle immagini e delle situazioni rappresentate quanto per la libertà d’interpretazione che concede ai suoi utenti, senza criticarli. Spaventa il fatto che il sistema sanzionatorio di GTA non condanni mai il comportamento dei giocatori, a patto che questo rimanga coerente con l’unica condizione di vittoria: non farsi ammazzare.

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NEW YORK CALLING

Un’attitudine decisamente rock, che ovviamente esprime al massimo i valori del brand che ha prodotto la serie. Dietro a tutto questo putiferio ci sono le menti brillanti di due fratelli britannici, Sam e Dan Houser, rispettivamente presidente e vice presidente di Rockstar Games, la punta di diamante di Take-Two Interactive. Insieme a Terry Donovan e Jamie King, gli Houser fondarono Rockstar nel dicembre 1998 con in testa un’idea ben precisa: un approccio anarchico alla materia trattata (in termini di temi e situazioni) in grado di riflettere appieno i valori del brand, sul quale verrà capitalizzato come se si trattasse di un marchio al pari di Adidas o CocaCola. Forza creativa del gruppo, i fratelli Houser sono accreditati a vari livelli come produttori esecutivi e direttori e a loro spetta sicuramente il merito di aver traghettato con successo la serie di GTA nelle tre dimensioni. Nonostante il ruolo fondamentale che hanno avuto nel delineare i canoni di questa forma di intrattenimento, da sempre Sam e Dan sfuggono con disinvoltura allo star system, preferendo far parlare il marchio in loro vece. A differenza di altri game designer e creativi nel campo della multimedialità, il loro volto non compare mai accanto al prodotto, sostituito da una “R” con una stella in fondo al gambo.

Prima di diventare Rockstar, i suoi fondatori lavoravano per la divisione interattiva di BMG (l’etichetta musicale). Insieme al team scozzese DMA Design, di stanza a Edimburgo, BMG Interactive sviluppò il primo capitolo di Grand Thef Auto (che porta la firma anche di David Jones, autore dei classici Lemmings e Shadow of the Beast). Nonostante il successo in patria, BMG Interactive verrà venduta a Take-Two e tutti si dovettero spostare da Londra a New York. Il trasferimento portò alla decisione di cambiare attitudine, come dirà Dan in un’intervista: “Entrare nel mercato americano senza una reputazione e nemmeno le risorse per competere con i più importanti attori del mercato ci ha portato a puntare su qualcosa di differente”.

Re: Being a Rockstar

Figo *w*

Re: Being a Rockstar

Infatti :sisi:

Re: Being a Rockstar

LOOOOL

Miti u.u

Re: Being a Rockstar

wow

Re: Being a Rockstar

ok
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