"Di tutti i crimini neri che l'uomo commette contro Dio ed il Creato, la vivisezione è il più nero". (Mahatma Gandhi)
Da alcuni è indicata come la soluzione a tutti i mali possibili ed immaginabili che affliggono l'uomo, da altri (dove "altri", va detto, rappresenta l'81,6% degli italiani nel 2014) un male da debellare al più presto possibile. Stiamo parlando della sperimentazione animale, ai più nota come vivisezione. Ma guai, per i pro-test, paragonare le due cose: "La vivisezione non esiste più da 30 anni", dicono. A ben vedere, però, la differenza parrebbe essere più labile di quanto sbandierato dai sostenitori di tale pratica. E a chiarirlo è proprio l'arcinota enciclopedia italiana Treccani, che, dal suo portale, alla voce "Vivisezione", spiega che il termine "designa ogni atto operatorio su animali vivi, svegli o in anestesia totale o parziale, privo di finalità terapeutiche", ma anche tutte quelle forme che sperimentazione "che inducano lesioni o alterazioni anatomiche e funzionali (ed eventualmente la morte) negli animali di laboratorio (generalmente mammiferi), come ustioni, inoculazione di sostanze chimiche, esposizione a gas tossici o ad alte energie (radiante, elettrica, di altra natura), soffocamento, annegamento, traumi vari". In poche parole, ciò che tuttora avviene nella stragrande maggioranza degli stabulari italiani. Stabulari a cui, denunciano da anni gli animalisti, è pressoché impossibile accedere e che sfuggono a quasi ogni forma di controllo: di qui la richiesta di telecamere all'interno dei laboratori, al fine di controllare che non vengano infrante le procedure previste dalla legge. Come è immaginabile, fino ad oggi non se ne è fatto nulla.
Un gatto con un elettrodo (Foto: OIPA)
Parlando di scienza, però, è forse bene non dimenticare il capitolo numeri. Quanti sono dunque gli animali che ogni anno perdono la vita nei laboratori di vivisezione? Stando alle stime al ribasso, un milione in Italia, un miliardo in tutto il mondo. Cifre oggettivamente mostruose, che spiegano già da sé le ragioni di chi da anni si oppone ai test. Una battaglia, quella degli attivisti anti-vivisezionisti, che in Italia ha avuto due apici di massima visibilità: l'opposizione a Morini (San Polo, Reggio Emilia), allevamento chiuso nel Maggio 2010, e quella a Green Hill (Montichiari, Brescia), altro allevamento da cui nell'Aprile 2012 furono portati in salvo, in seguito a un blitz, numerosi cuccioli di beagle e che, appena pochi mesi dopo, in Luglio, fu oggetto di un provvedimento di sequestro da parte degli agenti del Corpo Forestale dello Stato e della Digos della Questura di Brescia. Svariati i capi d'accusa, tra i quali, come prevedibile, quello di maltrattamento animale.
Uno dei cuccioli liberati da Green Hill nell'Aprile 2012.
Insomma, le ragioni dell'etica e quelle della giustizia. Mancano all'appello quelle della scienza, che, a differenza di quanto si possa pensare, non suonano affatto così all'unisono. Se da un lato, infatti, i Garattini e le Cattaneo strillano che "no, non si può fare a meno della s.a." (ma George Bernard Shaw ammoniva che "chi non esista a vivisezione difficilmente esiterà a mentire sul proprio operato"), numerosi altri ricercatori, chimici e biologi la pensano diversamente. E' il caso, ad esempio, di Claude Reiss, per 35 anni direttore di ricerca in biologia molecolare al Cnrs, che, dalle pagine de l'Espresso, ha spiegato: "I test sugli animali sono un metodo inutile e dannoso. Il 90 per cento dei medicinali testati sugli animali vengono rigettati prima degli esperimenti clinici sull'uomo, perché le prove sono ritenute inattendibili. Ma è ovvio: ogni specie animale ha un proprio genoma unico e irripetibile. Questo comporta che ogni specie, un ratto, un topo, un cane o un uomo, reagisce in modo completamente diverso alla stessa prova". Il dato citato da Reiss è lo stesso diramato dall'FDA statunitense, vale a dire l'ente preposto al controllo dei farmaci, che, nel 2004, ha evidenziato come "il 92% delle sostanze che superano la sperimentazione sugli animali non superano la sperimentazione umana". Tradotto: 92 sostanze su 100 (quasi la totalità, insomma) si rivelano dannose o inefficaci per l'uomo dopo essere risultate innocue per gli animali. Reiss ha studiato per anni l'Aids e, non ha caso, il suo esempio va proprio in questa direzione: "Prendiamo lo scimpanzé, la specie più vicina all'uomo fra quelle normalmente usate in laboratorio. Lo scimpanzé è assolutamente immune all'Aids: il virus non gli fa nulla. Mentre ad esempio il suo fisico si comporta come il nostro col virus dell'Ebola. Vi rendete conto? Come si fa a validare un test su un'altra specie quando le reazioni di questa variano di volta in volta dalle nostre?".
Una scimmietta sottoposta ad alcuni test
Una posizione, quella direttore di ricerca, non isolata. Anche la biologa e ricercatrice dell'Università di Genova Susanna Penco, da quasi vent'anni affetta da sclerosi multipla, si è schierata contro i test sugli animali, ribadendo come le reazioni di questi ultimi siano in molti casi discordati rispetto a quelle degli esseri umani. "Quando l'organismo umano ha una reazione avversa ad un farmaco" - ha spiegato in un recente dibattito al Parma Etica Festival - "tende a rigettarlo, vomitando. In molti casi, però, i farmaci vengono testati sui topi, che, dal canto loro, non possono vomitare". Ma gli esempi si sprecano: dal cianuro, letale per l'uomo, ma "ottimo cibo per alcuni lemuri", alla penicillina, salvifica per l'uomo, ma letale per le cavie da laboratorio. Dello stesso parere anche il dottor Massimo Tettamanti, Consigliere scientifico dell'associazione Atra, che, sempre a Parma, ha avuto modo di evidenziare come per anni le multinazionali del tabacco si fossero difese dall'accusa di tumori causati dal fumo adducendo come motivazione il fatto che gli studi su animali non evidenziassero tale rischio. Il risultato? Da svariati anni a questa parte, nei tribunali americani la sperimentazione animale non è più considerata una prova valida.
Un beagle rinchiuso in un allevamento di animali destinati alla s.a. (Foto: Fermare Green Hill)
Favorevole al superamento dei test sugli animali anche il professore della Jhons Hopkins Bloomberg Thomas Hartung, che, in un'intervista al Corriere.it, ha ribadito come, in molti casi, le risposte date da questi esperimenti non risultino "abbastanza rilevanti per l'applicazione sull'uomo" e che, se c'è qualcuno non ancora pronto a dire basta alla vivisezione, quel qualcuno è rappresentato dai governi, non dalla scienza. Concorde sulla sostituibilità dei test sugli animali la dirigente di ricerca del CNR Flavia Zucco, che, lo scorso Agosto, ha tenuto a sottolineare l'enorme problema sia etico che scientifico rappresentato dalla sperimentazione animale.
Thomas Hartung interviene ad una conferenza stampa organizzata dal M5S al Senato (Foto: Senato Cinque Stelle)
Quante, però, le alternative? A ben vedere, molte. Naturalmente, ai non-tecnici i loro nomi diranno poco, ma parole come "Organs-on-a-chip, Bioreattori Multi-Compartimentali Modulari, Co-colture integrate discrete multiorgano, Medicina personalizzata, Metodologie in vitro e silicio avanzate, Microarray, Neuroimaging, Microdosing, Organi bioartificiali, Virtual organo, Tossicogenomica, Proteomica, Metaboiomica, Cellule staminali, Modelli matematici" e altre ancora per parecchi esperti del settore possono rappresentare validi e ben più attendibili sostituti di un metodo, è bene ricordarlo, mai validato e privo, non solamente di etica, ma anche di scienza.